Evoluzione normativa

Dalle Casse di Risparmio …

Le Casse di Risparmio, sorte agli inizi dell’Ottocento, e ancora prima, i Monti di Pietà, sorti nel corso del XV secolo, di seguito unitariamente “Casse di Risparmio”, erano istituti in cui convivevano due anime: l’una, rivolta all’esercizio del credito, l’altra, dedicata a interventi di utilità sociale nei confronti delle comunità di riferimento. Negli anni Novanta esse furono oggetto di una profonda e radicale trasformazione, che ne modificò fortemente l’assetto, sia dal punto di vista giuridico-istituzionale sia da quello strutturale-operativo. Sotto la spinta esercitata dalla I e dalla II Direttiva europea in materia creditizia, volte a promuovere la libertà di stabilimento e la de-specializzazione bancaria, il processo di trasformazione e ammodernamento del sistema bancario italiano subì una rapida accelerazione a seguito, peraltro, dell’approvazione della legge di delega n. 218 del 30 luglio 1990 (c.d. legge Amato) e dei relativi decreti applicativi, fra cui in particolare il d.lgs. n. 356 del 1990.

Le Casse di Risparmio diedero attuazione ai principi recati dalla legge Amato, così provvedendo a conferire l’azienda bancaria a una nuova apposita entità giuridica, la Cassa di Risparmio Spa, ed assunsero la diversa qualificazione di Ente conferente (successivamente denominato Fondazione) al quale furono assegnate finalità di interesse pubblico e di utilità sociale, previste negli statuti delle originarie Casse di Risparmio.

L’attuale configurazione delle Casse di Risparmio Spa è quella di società commerciali private, disciplinate dal Codice Civile e dalle specifiche norme che regolamentano l’attività bancaria, al pari delle altre banche. Il nome originario di “Casse” è stato ad oggi perso da quegli istituti che hanno dato origine ad alcuni dei maggiori gruppi bancari italiani.

… Alle Fondazioni

Le Fondazioni sono, dunque, i soggetti che derivano dagli Enti che agli inizi degli anni ’90 avevano effettuato le operazioni di conferimento dell’azienda bancaria, in applicazione delle disposizioni del citato d.lgs. n. 356 del 1990, attuativo dei principi fissati nella legge di delega n. 218 del 1990.

Fino al 1994 esse ebbero l’obbligo di mantenere il controllo della maggioranza del capitale sociale delle Casse di Risparmio Spa, identificate anche con il nome di banche conferitarie.

Con l’entrata in vigore della legge n. 474 del 1994 tale obbligo fu eliminato e furono introdotti incentivi fiscali per la dismissione delle partecipazioni detenute dalle Fondazioni (direttiva “Dini” dello stesso anno). Ciò favorì l’avvio di un processo di diversificazione degli assetti societari delle banche partecipate, che ha consentito loro di coniugare il raggiungimento di una dimensione adeguata alle esigenze del mercato con il mantenimento del loro tradizionale radicamento territoriale.

Nel 1998, con l’approvazione della legge di delega 23 dicembre 1998, n. 461 (c.d. legge “Ciampi”) e con il successivo decreto applicativo, il d.lgs. n. 153 del 1999, il legislatore provvide, da un lato, a creare i presupposti per il completamento del processo di ristrutturazione bancaria avviato con la legge “Amato” e, dall’altro, a realizzare una revisione della disciplina civilistica e fiscale delle Fondazioni.

Per effetto della riforma attuata dalla citata legge “Ciampi”, la cui prima fase si concluse con l’approvazione degli statuti da parte dell’Autorità di vigilanza (Ministero del Tesoro, ora Ministero dell’Economia e delle Finanze), “le Fondazioni sono persone giuridiche private senza fine di lucro, dotate di piena autonomia statutaria e gestionale” (art. 2 d.lgs. 17 maggio 1999, n. 153).

Con la legge “Ciampi”, inoltre, l’iniziale obbligo di detenere la maggioranza del capitale sociale delle banche conferitarie fu sostituito da un obbligo opposto, quello della perdita del controllo delle società bancarie, incentivato fiscalmente con la previsione di un regime di neutralità fiscale per le plusvalenze realizzate nella dismissione.

Al 31 dicembre 2018 su 88[1] Fondazioni 38 di esse non detengono più alcuna partecipazione nella banca originaria, 44 hanno partecipazioni minoritarie in società bancarie conferitarie che fanno parte di gruppi bancari, mentre le altre 6, di minori dimensioni, mantengono una quota di maggioranza, come consentito loro dall’art. 80 della legge n. 289 del 2002[2].

A fine 2001, il Governo, con la legge finanziaria per il 2002, legge n. 448 del 2001 (art. 11), promosse una profonda revisione della riforma “Ciampi”, nel tentativo di alterarne l’originario spirito, che sanciva, da un lato, la natura privatistica delle Fondazioni, e dall’altro, la loro autonomia gestionale. L’iniziativa legislativa subì un radicale ridimensionamento da parte della Magistratura, a cui le Fondazioni si erano rivolte. In particolare, a seguito del ricorso delle Fondazioni, il Tar del Lazio ravvisò la sussistenza di profili di illegittimità costituzionale nel citato art. 11 e dispose con l’ordinanza n. 803 del 2003 la remissione degli atti alla Corte Costituzionale.

La Corte Costituzionale si pronunciò con le sentenze n. 300 e 301 del 29 settembre 2003, facendo chiarezza sul ruolo e sull’identità delle Fondazioni, che vennero definitivamente riconosciute come “persone giuridiche private dotate di piena autonomia statutaria e gestionale” collocate a pieno titolo tra i “soggetti dell’organizzazione delle libertà sociali“.

Più nello specifico, la Corte ha scolpito la loro fisionomia fornendo un’interpretazione chiara e incisiva delle norme ad esse afferenti. Nel dettaglio essa ha:

  • affermato che l’evoluzione legislativa intervenuta dal 1990 ha spezzato quel “vincolo genetico e funzionale”, “vincolo che in origine legava l’ente pubblico conferente e la società bancaria, e ha trasformato la natura giuridica del primo (prima ente conferente, oggi Fondazione) in quella di persona giuridica privata senza fine di lucro (art. 2, comma 1, del d. lgs. n. 153/99) della cui natura il controllo della società bancaria, o anche solo la partecipazione al suo capitale, non è più elemento caratterizzante”;
  • sancito in via definitiva la natura privatistica delle Fondazioni, ribadendo che esse sono collocate nell’ordinamento civile e che, dunque, la competenza legislativa sulle stesse compete allo Stato (art. 117, comma secondo, lettera l) della Costituzione);
  • dichiarato incostituzionale la prevalenza negli organi di indirizzo delle Fondazioni dei rappresentanti di Regioni, Province, Comuni, Città metropolitane (cioè gli enti diversi dallo Stato di cui all’art. 114 della Costituzione) e stabilito, al contrario, che tale prevalenza venga assegnata a una qualificata rappresentanza di enti, pubblici e privati, espressivi della realtà locale statutariamente individuati;
  • riconosciuto in capo all’Autorità di Vigilanza di un potere di verifica della legittimità dell’operato delle Fondazioni, censurando qualunque atto volto a comprimere indebitamente la loro autonomia fra cui gli atti di indirizzo di carattere generale o i regolamenti intesi a modificare l’elenco dei settori di utilità sociale contemplati dalla legge impugnata e per ciò dichiarati incostituzionali;
  • qualificato la nozione di “controllo congiunto” dell’azionariato di una banca da parte di più Fondazioni ivi presenti contemporaneamente, evidenziando che tale situazione si configura solo laddove sussista un patto di sindacato accertabile.

La Corte ha dunque sancito in modo esplicito che le Fondazioni non rappresentano il presidio volto a inserire negli organi delle banche i rappresentanti partitici, né tanto meno costituiscono uno strumento di governo degli enti pubblici, tenuto conto che già con la riforma “Ciampi” e in seguito con la richiamata giurisprudenza della Corte Costituzionale, si è testualmente evidenziato che la componente pubblicistica degli Organi di Indirizzo delle Fondazioni, deputati ad individuarne le linee programmatiche di operatività, non debba rivestire la maggioranza.

A seguito della crisi finanziaria del 2008, mentre gli investitori istituzionali uscivano dalle banche italiane, le Fondazioni, manifestando un importante senso di responsabilità, non hanno fatto mancare il proprio sostegno e quando le Autorità di vigilanza, EBA in testa, chiesero interventi di ricapitalizzazione, esse parteciparono a consistenti e determinanti aumenti di capitale. Tra il 2008 e il 2013, infatti, le Fondazioni hanno partecipato ai rafforzamenti patrimoniali richiesti dalle Autorità di vigilanza, sottoscrivendo gli aumenti di capitale delle banche partecipate per circa 7,5 miliardi di euro.

Nelle banche partecipate, le Fondazioni esercitano i diritti economici e amministrativi attribuiti dal Codice Civile agli azionisti, non fanno parte di patti di sindacato, né i loro esponenti possono essere nominati negli organi delle banche partecipate.

L’attuale normativa dispone, infatti, la totale incompatibilità tra le cariche nella Fondazione e le cariche nella banca, ed anche nell’ambito di provvedimenti di livello secondario, in particolare il Protocollo d’intesa Acri-MEF (si veda infra), ha previsto addirittura la presenza di un periodo di distacco, generalmente di dodici mesi, fra la cessazione dell’uno e l’assunzione dell’altro incarico.

Inoltre, dal 2012, il c.d. “Decreto liberalizzazioni” (decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1), varato dal Governo Monti, ha introdotto un’incompatibilità anche fra le cariche negli organi delle Fondazioni e quelle “negli organi gestionali, di sorveglianza e di controllo o di funzioni di direzione di società concorrenti della società bancaria conferitaria o di società del suo gruppo“, cui le Fondazioni hanno dato puntuale seguito, applicando il divieto di interlocking directorates secondo i criteri definiti dalla Banca d’Italia e dalla Consob per le imprese bancarie in applicazione dell’art. 36 del D.L. n. 201/2011.

L’articolo 52 del D.L. n. 78 del 2010 ha inoltre chiarito, in via interpretativa, che la vigilanza di legittimità sulle Fondazioni di origine bancaria, di cui all’art. 10 del d.lgs. n. 153/99, è attribuita al Ministero dell’Economia e delle Finanze fino a quando, nell’ambito di una riforma organica delle persone giuridiche private di cui al Titolo II del Libro I del Codice Civile, non verrà istituita una nuova Autorità sulle medesime. Le Fondazioni che manterranno direttamente o indirettamente il controllo sulle società bancarie rimarranno sottoposte alla vigilanza del Ministero dell’Economia e delle Finanze anche successivamente all’istituzione di detta nuova Autorità.

Il medesimo articolo 52 di cui sopra, come modificato dalla legge di conversione, chiama, inoltre, il Ministero dell’Economia e delle Finanze, come tutte le Authority, a relazionare ogni anno il Parlamento, entro il 30 giugno, sull’attività svolta dalle Fondazioni nell’anno precedente, “con riferimento, tra l’altro, agli interventi finalizzati a promuovere lo sviluppo economico-sociale nei territori locali in cui operano le medesime fondazioni”.

Il percorso verso l’autoregolamentazione: La Carta delle Fondazioni e il Protocollo d’intesa Acri-MEF

Nonostante la definizione dell’assetto istituzionale ed organizzativo delle Fondazioni sia avvenuta in modo progressivo, per mezzo degli interventi normativi e giurisprudenziali in materia, l’autonomia e la terzietà delle stesse ha conosciuto un ulteriore e significativo rafforzamento con l’adozione della Carta delle Fondazioni del 2012.

Essa costituisce la prima forma della loro autoregolamentazione, ove hanno trovato oggettivazione principi e valori condivisi, e con la quale si è data implementazione ai profili di responsabilità e trasparenza enunciati nella legge, volti a instaurare un rapporto intellegibile soprattutto nei confronti delle realtà collettive rappresentate.

L’adesione delle Fondazioni alle enunciazioni di principio contenute nella Carta, si è tradotta, in concreto, nell’impegno da parte di ciascuna a condividere ed osservarne i valori nonché ad esercitare con costanza accurati processi di autoverifica relativi al raggiungimento delle finalità stabilite dalla Legge e dallo Statuto.

La Carta ha costituito solo la prima tappa dell’importante processo di autoregolamentazione delle Fondazioni, cui ha fatto seguito un secondo fondamentale approdo, costituito dal Protocollo d’Intesa Acri-MEF.

Il 22 aprile 2015 le Fondazioni hanno difatti sottoscritto, tramite Acri, un Protocollo d’intesa con il Ministero dell’Economia e delle Finanze attraverso il quale, nel solco di un rapporto dialogico con l’Autorità di Vigilanza e in un’ottica di self restraint, esse hanno volontariamente introdotto norme in tema di diversificazione degli investimenti, disciplina della governance e di trasparenza dell’attività.

La stipulazione del Protocollo, che ha costituito per ciascuna Fondazione aderente un documento vincolante fin dalla sua sottoscrizione, ha dato origine ad una delicata fase di recepimento statutario delle previsioni ivi formulate, analoga a quella che aveva caratterizzato l’implementazione della Carta delle Fondazioni.

L’aspetto innovativo di tale Provvedimento risiede nell’aver coinvolto nella procedura di autodisciplina – a differenza di quanto era accaduto con la Carta, che rivestiva un documento avente valenza meramente interna- una parte terza, ovvero l’Autorità di Vigilanza, verso la quale le Fondazioni hanno assunto l’impegno al rispetto di regole condivise.

Il recepimento dei contenuti del Protocollo ha pertanto l’obiettivo, sempre presente nell’operare delle Fondazioni, di limitare i rischi legati alla loro natura di investitori istituzionali e, al tempo stesso, di garantire l’espressione più piena del loro potenziale, a beneficio dell’intera Collettività, che rimane il primo e più importante interlocutore verso il quale esse assumono i propri impegni.

 

I recenti sviluppi

Più di recente, l’oramai acquisita qualificazione privatistica da parte delle Fondazioni ha conseguito ulteriori conferme da parte dell’Autorità Nazionale Anticorruzione (ANAC) e nuovamente ad opera della Corte Costituzionale.

L’ANAC, nello specifico, con la determinazione n. 1134 del 2017, ha escluso le Fondazioni bancarie dal novero degli enti tenuti agli adempimenti in tema di trasparenza di cui al d.lgs. n. 33/2013, ne ha ribadito la natura giuridica privata, evidenziando come l’attività delle stesse rientri non già fra quelle di pubblico interesse bensì fra quelle di utilità sociale, da intendersi quali attività svolte in piena autonomia privata da soggetti privati.

La Corte costituzionale, infine, chiamata a dirimere una questione inerente ad un conflitto di attribuzione Stato /Regioni in tema di disciplina del volontariato, introdotta dalla legge n. 117 del 2017, il cd. “Codice del Terzo Settore”, con la sentenza n. 185 del 25 settembre 2018, riconoscendo la natura privatistica dell’Organismo Nazionale di Controllo (ONC) e dell’attività dei Centri di Servizio per il Volontariato (CSV) ha indirettamente ribadito la natura giuridica delle Fondazioni di origine bancaria, dal momento che esse rappresentano la maggioranza dell’Organo di amministrazione e sostengono finanziariamente i CSV.

 

[1] Il numero complessivo delle Fondazioni è mutato a seguito delle fusioni per incorporazione avvenute  e nel 2019, che hanno determinato il passaggio da 88 ad 86 Fondazioni.

Le Fondazioni interessate da tali operazioni straordinarie sono state la Fondazione CR di Cuneo, che ha incorporato la Fondazione CR di Bra, e la Fondazione Banco di Napoli, che ha incorporato, nel 2019, la Fondazione Chieti Abruzzo Molise.

[2] Il d.lgs. n. 153 del 1999 prevede, all’art. 6, comma 4 che “A decorrere dalla data di entrata in vigore del presente decreto le Fondazioni non possono acquisire nuove partecipazioni di controllo in società diverse da quelle di cui al comma 1, né conservare le partecipazioni di controllo già detenute nelle società stesse (…)”. Fanno eccezione a tale regola, ai sensi dell’art. 25comma 3-bis le Fondazioni “con patrimonio netto contabile risultante dall’ultimo bilancio approvato [anno 2001] non superiore a 200 milioni di euro, nonché a quelle con sedi operative prevalentemente in regioni a statuto speciale (…)”.